Chiunque ci sia passato lo sa: non è solo questione di “buttare via”. Il percorso di decluttering è un processo che ha tante componenti diverse, è un’esperienza che coinvolge scelte, decisioni e ci fa fare i conti con il nostro presente e il nostro passato.
Nel parlare di decluttering inevitabilmente quindi si arrivano a toccare anche livelli emotivi e psicologici che sono al di fuori del terreno in cui opera un Professional Organizer. Io nel mio lavoro parto ovviamente dagli aspetti pratici: come si fa, come procedere, come gestire la mole di oggetti, cosa farne, come evitare di bloccarsi e perdere di vista l’obiettivo…
E quando affianco un cliente supporto il suo percorso, prettamente personale, senza imprimere forzature, per accompagnarlo alla riscoperta di un rapporto autentico e sincero con i propri oggetti.
Poi certamente la pratica del decluttering ha delle ripercussioni a livello di sensazioni ed emozioni, che il cliente riconosce fin da subito, quando ha sperimentato la semplificazione e alleggerimento del proprio spazio personale e domestico.
Per esplorare quindi queste dinamiche più psicologiche del decluttering ho deciso di ospitare in questo mio articolo una psicologa molto brava che ho avuto il piacere di conoscere un po’ di tempo fa: Alessia Furgeri. La nostra affinità è emersa fin da subito, dal nostro primo incontro, in cui oltre che a piacerci come persone, abbiamo trovato una bella sintonia in diversi elementi che compongono i nostri lavori, seppur diversi e con applicazioni differenti.
Ecco quindi l’intervista che ho rivolto ad Alessia. Se alla fine vuoi conoscerla meglio, in fondo all’articolo trovi i suoi contatti!
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Ciao Alessia, grazie ancora per aver accettato di partecipare a questo mio articolo! Prima di tutto raccontaci qualcosa di te e del tuo lavoro.
Ciao Sara, prima di tutto desidero ringraziarti: amo poter parlare del mio lavoro (è anche la mia più grande passione) e sono felice di avere l’opportunità di farlo insieme a te e ai tuoi lettori.
Ho sempre amato le persone e le loro storie, e così quando è arrivato per me il momento di fare la mia scelta universitaria mi sono orientata quasi subito sulla facoltà di Psicologia di Padova.
Poiché ho sempre percepito come un’unità indissolubile quella tra corpo e mente, mi sono specializzata nell’ambito olistico delle psicoterapie corporee (e più precisamente in psicoterapia funzionale corporea), e successivamente ho perfezionato la mia formazione nell’ambito dei traumi tramite la tecnica EMDR.
Negli ultimi anni ho portato avanti diversi progetti per la promozione del benessere e mi sono dedicata prevalentemente all’attività clinica, che esercito nel mio studio in zona Gazzera, a Mestre (Ve). Mi occupo di sostegno psicologico e di psicoterapia rivolta ad adulti ed anziani, e in particolare il mio lavoro attualmente è rivolto all’elaborazione dei traumi.
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Nelle nostre chiacchierate ci siamo trovate molto in sintonia sui benefici che il decluttering porta alle nostre vite. Ci spieghi nello specifico quali sono questi benefici, soprattutto dal punto di vista psicologico?
Vorrei partire innanzitutto dal mio personale concetto di decluttering, troppo spesso forzato da interpretazioni modaiole o superficiali che si concentrano sul numero di oggetti da possedere o su come farlo in modo efficace e veloce. Come persona e professionista, io intendo il decluttering come un processo di consapevolezza e non un punto d’arrivo o una performance: decluttering è il lungo percorso, un viaggio negli oggetti e negli spazi, che porta una persona a lasciar andare ciò che non è più utile alla propria vita, sbarazzandosi di ciò che rimanda ad emozioni negative e bloccanti. Quando una persona inizia il proprio decluttering in un certo senso comincia a definire se stessa, comincia a rispondere attivamente – talvolta dolorosamente – alla domanda “chi sono io?” e “chi voglio essere?”.
Non chiedo mai esplicitamente ai miei pazienti di fare decluttering – non rientra normalmente tra gli obbiettivi terapeutici, diciamo – tuttavia spesso diventa una necessità interiore del paziente, quasi una conseguenza ineluttabile di un più profondo processo di consapevolezza. Liberarsi dalle scorie del passato fa sentire le persone più libere, più forti, più oneste con se stesse. Smettono di identificarsi con ciò che sono state in passato, e sono spinte a spostare il focus sul presente e sul futuro.
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La difficoltà più grande che le persone incontrano nel fare decluttering è il non riuscire a separarsi dagli oggetti. Quali sono i motivi per cui facciamo fatica a lasciar andare qualcosa che ci appartiene, anche se riconosciamo che non ci serve più o non ci piace più?
Quando dicevo che il decluttering è un processo emotivamente intenso e personale facevo riferimento proprio a questo: il nostro legame con gli oggetti va molto oltre la loro reale utilità o il loro pregio, e talvolta risulta difficile persino separarsi da oggetti che rimandano ad emozioni negative.
Personalmente, ritengo che tale resistenza faccia parte della più ampia difficoltà che abbiamo a lasciar andare qualcosa di noi. Noi tutti ci identifichiamo con la narrazione della nostra vita, siamo in un certo senso la nostra storia: la nostra identità coincide con gli eventi che abbiamo vissuto e anche il nostro personale modo di reagire a questi eventi. Gli oggetti sono la traccia tangibile di questi eventi che abbiamo attraversato. Ci sembra quindi che separarcene ci “amputi“ di un pezzo importante della nostra vita. Ci sembra di rinnegare qualcosa, di perderlo. In verità la narrazione emotiva spesso non ha alcun bisogno di oggetti fisici, ma di ricordi.
Alcuni oggetti, poi, sono importanti perché sono appartenuti ad una persona cara defunta: penso ai vestiti, ai diari, alle stanze di chi non c’è più che talvolta restano dei veri e propri mausolei dei ricordo, immagini del passato congelate. Per qualcuno lasciar andare questo tipo di oggetti è difficile perché rischia di essere percepito quasi come un “tradimento” del patto di mantenere vivo il ricordo di quella persona.
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Tra le resistenze più tipiche ci sono: “non si sa mai” oppure “e se poi mi serve?”…Come risolverle?
Il rapporto con le cose è intimo e personale. Spesso queste difficoltà hanno a che vedere con temi che hanno ben altra portata… io consiglio semplicemente di darsi tempo ed ascoltarsi. A volte è sufficiente accantonare il tale oggetto per un po’ (per una sorta di “tempo di prova”) per vedere se effettivamente possa servire o meno, e poi decidere. Anche prestare il tal oggetto a qualcuno che forse può usarlo più spesso con il patto di poterlo richiedere al bisogno funziona, a volte.
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Puoi suggerirci qualche pensiero utile da coltivare per aiutarci a distaccarci dalle cose?
Che compito complesso!! Provo a condividere un paio di riflessioni, sperando che il lettore possa trovarne altre ancora.
La prima riflessione è più filosofica che pratica… Io penso che un oggetto abbia il valore emotivo che NOI gli assegniamo: non ha in sé alcun potere affettivo in senso assoluto, il potere affettivo del ricordo è solo ed esclusivamente nostro, siamo dunque noi che attivamente assegniamo un sentimento a quella cosa, ma il sentimento è nostro e noi siamo attivi e non passivi nel viverlo. Possiamo dunque rievocare questo sentimento MEDIANTE un oggetto, ma non è l’oggetto in se stesso a rievocarlo. Quindi lasciare un oggetto è lasciar andare soltanto un tramite, un mezzo, e non il fine che è quello – appunto – del poter ricordare. Ricordiamo con gli oggetti, non grazie a loro.
Un altro pensiero che aiuta è quello del valore di sé: merito davvero di indossare un calzino bucato? Merito davvero di mangiare su un piatto sbeccato? Merito di sedere su un divano scomodo e sfondato? Decluttering significa chiedersi chi si è, quale valore si da al proprio benessere e ai propri spazi.
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Nella tuo lavoro di psicologa clinica, hai avuto esperienze di pazienti che hanno sperimentato il decluttering? Come è andata?
Spesso i pazienti arrivano da me con una grande confusione interna ed esterna. Man mano che scopriamo chi sono, mano a mano che recuperano forza e consapevolezza, cambiano i propri spazi. Ricordo una Signora che, elaborato il lutto traumatico del marito, riuscì a regalare alcuni vestiti e a sperimentare un grande senso di pace. Ne ricordo anche un’altra, una giovane donna molto creativa, che liberò completamente una stanza della propria casa e la fece diventare una sorta di “stanza della felicità”, dove meditare e accogliere gli amici o organizzare dei reading letterari. Avrei moltissimi esempi, ognuno diverso e altrettanto significativo. Ripensarci rafforza in me l’idea che il decluttering sia un processo soprattutto spirituale, oltre che fisico.
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Grazie ancora per la tua disponibilità e per il tuo contributo utilissimo!
Grazie di cuore a te! 😊
Trovo che le parole di Alessia siano davvero importanti e utili, come riflessione su questo tema. Ho volutamente evidenziato alcune sue espressioni in grassetto, perché sono parole che condivido molto e che mi hanno colpito.
Sono felice di aver potuto unire le nostre due strade e di avere la possibilità di collaborare con una professionista così preparata e appassionata!
Se vuoi conoscere meglio Alessia, ecco i suoi contatti e le informazioni su di lei:
L’indirizzo del suo Studio: Via Calucci 1/N a Mestre (VE)
Il suo indirizzo mail: alessia.furgeri@gmail.com
Il suo sito: www.alessiafurgeripsicologa.it
La sua pagina Facebook: Alessia Furgeri Psicologa
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